martedì 1 gennaio 2013

Bersani: «Noi, alleati a economia reale. Monti dica con chi sta»

Bersani: «Noi, alleati a economia reale. Monti dica con chi sta»
Claudio Sardo intervista Pier Luigi Bersani: «L'Italia può cambiare. Le primarie hanno rotto l’inerzia della politica. I leader solitari sono la malattia del paese, non la soluzione»
Claudio Sardo - l'Unità

chiusura Torino 1 news    «Non siamo ancora fuori dalla crisi. Chi lo dice non racconta la verità al Paese. Ma il cambiamento è possibile: e sono convinto che le prossime elezioni daranno impulso alle speranze degli italiani e a un più forte senso civico, che del cambiamento è il carburante necessario». Pier Luigi Bersani si gode in famiglia, nella casa di Piacenza, gli ultimi giorni di riposo prima della dura campagna elettorale.
Il Pd è la lepre, lui è il favorito delle elezioni: la scaramanzia consiglierebbe di tacere. Ma non si può perché competitori e avversari compresi gli ultimi arrivati, Monti e Ingroia fanno la corsa sul segretario del Pd. E perché il vantaggio acquisito non può essere custodito in un forziere, va rimesso in gioco davanti agli elettori: «Abbiamo conquistato questa centralità conviene Bersani per il coraggio mostrato, dopo la caduta di Berlusconi, nel porre gli interessi del Paese davanti a quelli di partito. E, poi, per la volontà di riaprire con le primarie i canali ostruiti della partecipazione democratica. Abbiamo rischiato l’osso del collo. Ma abbiamo cambiato l’inerzia della politica, accendendo una luce nello scenario di rassegnazione in cui ci aveva fatto sprofondare Berlusconi.
«Ora dobbiamo proseguire - dice ancora il segretario del Pd. - Con umiltà e tenacia. Le primarie di questi due giorni sono un`altra grande prova di democrazia e di cambiamento: con i fatti, e non solo con le parole, ci stiamo ribellando alle regole assurde del Porcellum. Ma dobbiamo anche continuare ad affrontare dal basso i problemi e le possibili soluzioni. Non si governa senza popolo. Non si cambia senza popolo. La via elitaria è un`illusione».
Alla luce di quanto è accaduto, rifarebbe ciò che ha fatto nel 2012?
«Rifarei tutto. La destra aveva portato l`Italia sull`orlo del precipizio. Avevamo detto che il populismo avrebbe prodotto disastri, sociali e istituzionali. Ma purtroppo la parabola populista si conclude sempre, amaramente, oltre il punto-limite: dovevamo affrontare una drammatica emergenza interna ed esterna, e non potevamo che farlo così. Il governo Monti ha restituito al Paese la credibilità necessaria per evitare la catastrofe: ma non è stato solo merito di Monti, è stata un`opera collettiva. Del salvataggio del Paese il Pd è diventato un caposaldo: e questo ha mostrato agli italiani la nostra visione e la nostra funzione nazionale».
Sta dicendo che la risalita del PD è cominciata qui?
«Voglio dire che la centralità del Pd si compone oggi di diversi elementi, uno dei quali è la sua dimensione di partito nazionale. Siamo la forza politica in grado di garantire maggiormente il legame tra il Nord e il Sud del Paese, tra i diversi ceti sociali, tra l`Italia e l`Europa. E abbiamo dimostrato che, quando c`è bisogno, sappiamo porre gli interessi dell`Italia davanti ai nostri»
Ha detto che questo è solo uno dei fattori che hanno consentito al Pd di crescere e conquistare un primato, almeno nei sondaggi. Quali sono gli altri?
«Principalmente due. Nonostante il diffuso sfavore verso la politica, i cittadini hanno visto e toccato con mano che siamo un partito nuovo, capace di rinnovarci e di metterci al servizio di istanze civiche. Il populismo ha fallito perché la politica legata a leader personali è destinata inesorabilmente alla sconfitta. Non fa crescere il Paese. I cittadini hanno compreso che nella sfida del Pd c`è uno spazio, un canale nuovo di partecipazione. L`altro fattore positivo per il Pd è stato, e continua ad essere, il nostro collegamento con i progressisti europei e il contributo originale che il Pd porta in questa alleanza internazionale: l`uscita dalla crisi, il cambiamento delle politiche economiche e sociali, la crescente domanda di equità e di uguaglianza, potranno trovare risposta solo in una dimensione internazionale. E tutti sanno che il Pd in quella dimensione c`è, è credibile, ha alleati importanti, e può oggi dare più di altri una mano all`Italia per tornare a crescere».
Ha detto che rifarebbe il governo Monti. Ma dica la verità: si aspettava che Monti sarebbe diventato un leader politico e che avrebbe guidato il Centro in competizione con il Pd?
«Non mi aspettavo questa sua scelta. Quando nacque il governo di emergenza, mi sembrava chiaro che avrebbe mantenuto una neutralità alle successive elezioni. Ma prendo atto della decisione del presidente del Consiglio. Non verrà meno il mio rispetto personale, né la cordialità dei rapporti maturati in questi mesi. Dal momento che si è fatto parte politica, però, intendo porgli questioni politiche».
Quali questioni pone a Monti?
«Anzitutto una questione di fondo. L`esito dei governi Berlusconi è stato negativo sul piano economico e sociale, sul piano culturale e politico, e ha pure indebolito le risorse civiche indispensabili alla ricostruzione. Il populismo italiano ha avuto tratti in comune con quelli europei, ma anche caratteri originali. Su quali forze far leva per il rinnovamento? Noi l`abbiamo detto con chiarezza da tempo. Il Pd riorganizza il campo dei progressisti, aprendosi a nuove forze, e assumendo la moralità e il lavoro come le pietre angolari del programma di riscossa nazionale. Ma, a fronte di un`impresa così grande e di un passaggio storico per l`Europa, è aperto a una collaborazione con tutti coloro che sono disposti a rompere con il populismo e con la destra. Cosa hanno da dire Monti e il Centro? Sono anche loro alternativi al populismo e alla destra? Sono pronti a collaborare con noi per un cambiamento nel segno di un nuovo sviluppo e di una maggiore uguaglianza sociale?».
Monti lascia intendere che con Bersani è disposto a dialogare, ma non vede un terreno d`intesa con Vendola e la Cgil
«Questi discorsi me li aspetto da Berlusconi e dalla Lega, non da Monti. Questa è propaganda. Non abbiamo costruito l`alleanza di centrosinistra in una stanza chiusa. L`abbiamo fatto in mezzo al nostro popolo, con le primarie, con una partecipazione che voleva anche essere una sfida, una reazione al degrado della politica elitaria e personalistica. Quando gli vengono fatte domande di questo tipo, Vendola giustamente risponde: Bersani ha vinto le primarie. Che sono state il suggello di un impegno reciproco, di un progetto trasparente. La mia domanda resta intatta: tocca al Centro dire ora che strada vuole prendere»
Da quelle parti si parla di Agenda Monti e si misurano le differenze sulle famose 25 cartelle. Non teme che la borghesia italiana e gli imprenditori possano, come in altre stagioni, giocare contro il centrosinistra e il suo eventuale governo?
«Penso che molte cose siano cambiate in questi anni. Il fallimento di Berlusconi è di fronte alla borghesia italiana, anche a quella che aveva puntato sulla deregulation della destra e che aveva chiuso l`occhio sulla caduta della legalità. Le imprese hanno vissuto sulla propria pelle la catastrofe politica e la caduta di competitività. Ma non c`è solo questo. Tanti imprenditori hanno capito che la stessa filosofia dell`emergenza, quella che inevitabilmente ha presieduto la stagione dei tecnici, è insufficiente per far risalire l`Italia. Ci vuole una scossa, un`iniezione di fiducia, una spinta che può venire anzitutto dai progressisti europei e dall`America democratica. I soggetti dell`economia reale oggi guardano a noi con speranza, ovviamente anche ponendoci domande esigenti».
 Riuscirà il centrosinistra rispondere positivamente? In Francia c`è una ribellione dei ceto più alti alle politiche di Hollande.
«Possiamo rispondere positivamente perché siamo persone serie, non vendiamo demagogia, e sappiamo che ogni politica di crescita deve partire dalla verità sulla nostra condizione. Il cammino è difficile ma il cambiamento possibile. Per conquistarlo l`equità è necessaria. Una maggiore uguaglianza è vettore di sviluppo: mente chi sostiene il contrario. Chi ha di più, deve dare di più. Ma ciò può avvenire solo se la moralità pubblica e la legalità tornano ad essere il nostro habitat. Anche i diritti sono condizione di fiducia, di speranza collettiva: la lotta alle mafie, la cittadinanza per i bambini nati in Italia, i diritti delle coppie omosessuali, i diritti dei lavoratori, la parità effettiva riconosciuta alle donne...»
Lei ripete: moralità e lavoro. Ma è plausibile un piano per il lavoro, cioè un rilancio vero dell`occupazione, o è soltanto un auspicio legato a dinamiche di mercato che la politica non controlla più?
«Il lavoro è la parola che riassume il progetto necessario del futuro governo. Non è un auspicio. È un patto con le forze dell`economia reale. Che nel nostro Paese, per fortuna, ci sono e chiedono finalmente una politica che sappia occuparsi di loro. In questi anni si è smarrito il ruolo del pubblico nel sostegno all`economia reale. Si può, si deve puntare sulla qualità dell`innovazione, sulla green economy, sulle medie imprese che hanno una proiezione internazionale. Si devono usare gli strumenti fiscali e le leve della ricerca per aiutare chi crea lavoro e chi scommette su prodotti nuovi, a più elevato valore. Si deve potenziare la scuola e si devono usare politiche pubbliche per le infrastrutture, comprese quelle tecnologiche. Occorre tornare a valorizzare l`abitare. Avremo la campagna elettorale per chiarire ogni punto. Voglio dire però, a chi usa ancora troppa ideologia, che la coesione sociale è anch`essa un fattore di sviluppo».
Sta parlando della concertazione, accantonata da Monti?
«Il tema non è se e come uscire dalla concertazione. La questione è più concreta: se, ad esempio, bisogna spostare una parte della contrattazione a livello aziendale, per legarla ai risultati d`impresa, allora è necessario anche fissare regole certe sulla rappresentanza dei lavoratori. Non siamo la Germania, dove i sindacati sono nei consigli di amministrazione delle grandi imprese, ma senza regole sulla rappresentanza, non ci sarà una vera, efficace contrattazione in azienda».
La competizione con il nuovo Centro è cominciata.
«Noi siamo alternativi alla destra e ai populismi. Con chi condivide questa scelta di fondo, siamo pronti a discutere. Ma nello spirito del dialogo e del confronto, voglio dire a Monti che ci sono anche questioni di metodo da affrontare. La prima riguarda il rigore istituzionale. Ho preso atto del suo rapido passaggio da una condizione super partes ad una scelta di campo esplicita, in concorrenza con noi. Ma una cosa voglio dirla: non si utilizzino figure istituzionali per ruoli di partito. Che Enrico Bondi, chiamato dal governo come consulente per la Spending review, venga ora usato per scrutinare le candidature nella lista Monti mi pare una sgrammaticatura istituzionale piuttosto seria, e non accettabile. Il Pd ha dimostrato la sua coerenza quando ha detto: non candideremo ministri di questo governo, essendo chiaro che chi ha operato bene potrà sempre essere utile al Paese»
Ci sono altre domande a Monti?
«Cos`è nuovo e cos`è vecchio per il polo che sta nascendo al Centro? Dà l`impressione di sfidare gli altri sull`innovazione, ma chiedo: non rischia di riprodurre lo schema vecchio del partito costruito attorno a un nome e di una rappresentanza parlamentare di nominati? Con tutto il rispetto per i singoli, penso che questa procedura sia una causa non secondaria della crisi italiana. Il populismo si combatte con il coraggio di ricostruire canali democratici, con la fiducia verso la società organizzata, verso il civismo dei corpi intermedi. Da qui un`altra domanda amichevole a Monti: si vuole superare il bipolarismo? Se no, da che parte ci si mette? Il suo progetto di lungo periodo è formare una forza legata al Ppe, dunque potenzialmente antagonista ai progressisti? E se è così cosa dice del fatto che nel Ppe, accanto alla signora Merkel, c`è il populista Orban? Senza dimenticare Berlusconi...»
Il sostegno delle gerarchie cattoliche al progetto di Monti cambiano qualcosa nel rapporto tra il Pd e i credenti?
«Da laico adulto sono convinto che la Chiesa ha il diritto-dovere di esprimere i propri giudizi sulla società nella quale vive e testimonia la fede. Sinceramente sono rimasto colpito dall`esposizione di questi ultimi giorni delle gerarchie nella quotidianità della vicenda politica. In ogni caso, non cambia nulla nell`identità del Pd come partito di credenti e non credenti che si battono per un cambiamento nel sognò della solidarietà e dell`equità sociale. Del resto, anche sui temi eticamente sensibili, abbiamo prodotto dopo un anno di lavoro un documento che tiene insieme i diritti civili con la ricerca di un umanesimo condiviso. E vedo che per ora nel documento di Monti non c`è neppure una parola. Forse è più difficile tenere insieme Riccardi e Montezemolo che non Bersani e Vendola»
C`è anche un nuovo sfidante. Il quarto, o quinto, polo di Antonio Ingroia. Che si è candidato premier polemizzando con Bersani perché si è rifiutato di rispondergli al telefono.
«Io non ho rifiutato nulla. Sono abituato a dialogare con chi vuole davvero dialogare con me. Non è così quando le chiamate pubbliche sono fatte solo per marcare un posizionamento o per fare della propaganda. La proposta dei progressisti è nata in un confronto popolare, non ad un tavolo di oligarchi, ed è stata confermata alle primarie. Da qui si parte e non torniamo indietro. E nessuno si azzardi a dire che la nostra voglia di combattere la mafia ha qualche riserva. La scelta compiuta da Pietro Grasso e le parole nette che ha pronunciato, comprese quelle sulle dimissioni dalla magistratura, sono un segno inequivocabile della nostra determinazione e anche del nostro rispetto per le istituzioni».
Alternativi a Berlusconi e alla destra. Non teme che Monti proverà a rubare al Pd la scena come antagonista del Cavaliere?
«Nessun cittadino italiano dubita del fatto che ogni prospettiva di cambiamento, dopo il fallimento di Berlusconi, ha nel Pd la forza decisiva. Il problema semmai è quanto Berlusconi riuscirà ancora a condizionare l`evoluzione politica. Oggi la destra si trova nelle retrovie culturali e politiche, dopo la sconfitta dei suoi governi e dopo il blocco operato da Berlusconi su ogni ipotesi di rinnovamento interno. Il cambiamento di domani non potrà che vedere la destra fuori da responsabilità di governo. Speriamo che altre forze liberali e democratiche sappiano invece assumersi un impegno di tipo costituente, in nome del bene comune degli italiani».

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